Memorie romane: atto I

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Nella foto (scattata da me): «La Barcaccia» dei Bernini, senza orientali a farsi il bagno dentro. Prego.

 

Nel maggio 2019 sono stata a Roma per la prima volta nella mia vita. So che c’ha dell’incredibile, ma è così. Ed è pure stato per lavoro. Sono stati soltanto quattro giorni, ma l’esperienza è stata talmente surreale (e non sempre per colpa degli studenti), che ho voluto scriverne alcune cose già allora. Come al solito ho procrastinato e lo faccio solo ora, tipo tre mesi dopo. Ma facciamo in ordine…

 

Giorno 1: (o quello dell’autista contromano)

 

Le quattro del mattino è un’ora che dovrebbe esistere soltanto se non sei ancora andato a dormire (il cosa scegliete fare è roba vostra…), ma non dovrebbe esistere come ora di iniziare a lavorare. Meno ancora con dei ragazzi adolescenti. E meno ancora se è l’ora del raduno previo alla partenza per una gita fine anno scolastico.
Prima cosa non andata: gli autisti (erano due autisti e due pullman) avevano sbagliato l’indirizzo. Uno era sveglio abbastanza da usare Google ed arrivare in tempo da sgridare uno dei miei colleghi per l’indirizzo sbagliato (che non era colpa nostra). L’altro era rimasto a dormire (così come leggete…) nell’indirizzo malposto (non rispondeva né chiamate né messaggi al telefono). Alla fine un altro mio collega (non lo stesso che stava ancora là ad essere sgridato) è dovuto andare a trovare il secondo autista con la sua macchina. Inizio perfetto.
Finalmente tutti sui pullman. Non eravamo ancora in autostrada (per fortuna, direi…) e l’autista che guidava il pullman dov’ero, forse ispirato dall’ora indecente, ha fatto confusione e proprio nell’ingresso all’autostrada è andato vicino a mettersi contromano. Una mia collega, “C.” in avanti, sveglia quanto me, mi ha detto:
– Secondo me va al contrario.
– Ah – è stata la mia risposta lucidissima. Dopo qualche secondo di processare l’informazione, le ho detto: Dillo a lui… io non sto guidando né conosco la strada.
– Eh…sì, ovvio (A lui) Mi scusi? Penso che è al contrario…
– Eh? No…- Il gentil signore ferma il pullman in mezzo alla strada (grazie al cielo che era presto e non c’era nessuno), fa segnali all’altro pullman (che era nella direzione giusta…) e l’altro finalmente lo chiama e, urlando, gli dice lo stesso di noi, ma meno gentilmente: È al contrario, cretino!!!
Finalmente in aeroporto: casino in fatturazione, casino nel controllo sicurezza (succede quando arriva un gruppo di oltre 70 persone alle 6 del mattino) e saliamo sull’aereo in extremis.
Il giorno era appena iniziato.

Arrivati a Roma è iniziato il più tranquillo (a nostra insaputa in quel momento) dei quattro giorno in Italia. Siamo andati in albergo, abbiamo lasciato là le valigie e siamo andati in Piazza Spagna. Bel posto per essere fregati. Lo sappiamo noi, ma i ragazzi sono, appunto, ragazzi (NB: gli insegnanti che accompagnavamo gli studenti nella gita non abbiamo deciso il percorso, quindi siamo finiti nei posti più turistici, com’è anche normale, ma tutti sappiamo le cose che possono capitare in questi posti). Insomma, noi insegnanti siamo riusciti a non farci fregare troppo a pranzo a aspettavamo l’ora del raduno coi ragazzi facendo una bella passeggiata nelle vicinanze. Suona il cellulare di contatto. “Ci siamo”, penso. Ci chiama un gruppo di dieci ragazzi: un cameriere non voleva tornare il resto ad uno di loro. Il mio collega J. e io ci andiamo per fare una controllata.
Riassunto veloce: sono finiti in un posto costosissimo (5€ la bottiglia d’acqua…) e il resto sparito era la mancia da loro data al cameriere a loro insaputa e senza il loro permesso (nuova NB: la mancia è normale in Italia ma non usiamo darla in Spagna). Dovevo parlare io per forza in questi casi, essendo l’unica a sapere la lingua italiana nel gruppo di oltre 70 persone! Non siamo riusciti a fare altro che chiedere lo scontrino, che non avevano avuto anche se obbligatorio. Il commento di J. nella strada di ritorno mi ha fatto piegare in due dalle risate: “Ca**o M., mi sono ca*ato addosso. Sembravi talmente incazzata da somigliare un capomafia.”  Eh…sì, càpita.  E grazie al cielo che sono alta solo metro e mezzo, se no… Mi è rimasto il rammarico di non poter risolvere nulla, visto che era la parola dei ragazzi (che non avevano nemmeno lo scontrino quando siamo arrivati e non potevano dimostrare quanti soldi avevano dato) contro quella del cameriere. Spero almeno di aver fatto ca*are in mano pure lui e che non abbia fatto cose simili almeno quel giorno.
Arrivati vicini alla Barcaccia, punto d’incontro, abbiamo visto qualcosa di surreale, almeno per me: una donna orientale (cinese, giapponese, coreana…che ne so) DENTRO della fontana col marito cercando di scattare la foto da fuori e urlando in cinese, giapponese, coreano (BOH!) a tutti quelli che passavano vicino perché gli davano fastidio (ah…gli artisti al lavoro…). Alcuni degli sgridati erano dei nostri studenti.
– Ma prof – ha chiesto uno, giustamente- non era vietato entrare dentro delle fontane?
– Lo è. – Ma non c’erano degli agenti delle forze dell’ordine vicino. Peccato.
Tornati in albergo (che è in Via Marsala, davanti a Termini, una zona bella sicura della Città Eterna, soprattutto la notte…e dovevamo uscire per forza per andare a cena, sai che gioia…), dicevo…tornati in albergo, le mie colleghe e io notiamo che nella stanza (una per tutte le tre, evviva l’intimità!), uno dei letti era per un bambino. Le coperte, addirittura, avevano qualche macchia indefinita qua e là (per fortuna non le lenzuola). Piccolo e sporco, vabbè, non più sporco degli altri, ma piccolo. Mannaggia. Indovinate un po’ chi, essendo, come già detto, alta metro e mezzo, è finita a dormire là. Bingo.
Siccome sta venendo troppo lungo, dividerò il racconto in tre parti, come fosse una tragicommedia. Quindi ecco la fine del primo atto.

 

m.

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